La Romagna per Anita nel bicentenario
Anche quest’anno, lasciate alle spalle le festose commemorazioni del passaggio di Giuseppe Garibaldi e Anita a Cesenatico, con la rievocazione della mobilitazione dei bragozzi per tentare di salvare loro la vita, la staffa è passata dalla Sezione di Cesenatico dell’ANVRG, splendidamente diretta da Silvio Monticelli, alla Sezione di Ravenna non meno energicamente guidata da Gianni Dalla Casa e dai suoi soci e amici, tra i quali Gino e Anna Ciani generosi ospiti.
Cambia quasi brutalmente la scena rispetto a Cesenatico: dalla perdurante speranza della fuga verso Venezia la coppia di fuggitivi si ritrova braccata nelle paludi con l’urgenza ormai di pensare a salvare la vita di Anita.
Vi è un’atmosfera raccolta a Ravenna e dintorni per evocare quella pagina dolorosa dell’epopea garibaldina che è rimasta a lungo l’unica testimonianza ben conosciuta e condivisa della vita di Anita Garibaldi in Italia: la sua morte sulla terra di Romagna che non la dimenticherà mai, nemmeno in quegli anni in cui per ragioni diverse l’Italia, il Brasile, l’Uruguay, lo stesso Garibaldi sembravano avere depositato la sua storia tra le ombre dei martiri del Risorgimento. Una storia essenzialmente limitata alla sua morte tragica. Più che evocarne le cause, la partecipazione dell’intrepida donna ai combattimenti della Repubblica Romana sollevano la pietà per lei che muore troppo giovane e per il dolore dello sposo. Solo più tardi si sposterà l’interesse per Anita in quanto moglie del Generale verso la combattente che seppe suscitare, oltre un amore a prima vista, un affetto più duraturo vissuto nella condivisione degli impegni e dei valori.
Quest’anno le commemorazioni sono state dominate dalla figura di Anita, della quale ricorre il duecentesimo anniversario della nascita, anche se la situazione dell’epidemia che corre in Europa come in America Latina ha costretto a misurare le presenze in loco e a rimandare molti degli incontri previsti ad un futuro che si spera prossimo. La prima visita è stata per il Capanno, umile dimora, faro della memoria, con le sue lapidi che ricordano le varie fasi di conservazione della modesta stanza, oltre alla storia che lo nobilita. Muta è la palude nel sole della calda estate, le tamarici del viale, come a incutere rispetto per le anime che vi hanno temuto la morte da mano nemica. Ore cruciali nelle quali la condizione di Anita si pone al centro delle scelte di Garibaldi e del fedele Leggero, così rendendo sempre più pericolosa la situazione del fuggiasco che rifiuta di abbandonare l’inferma.
Alla Società Conservatrice del Capanno, col presidente Mario De Lorenzi, al quale va per il Capanno, come è andata al Capanno di Comacchio, la nostra medaglia del Bicentenario, il 3 agosto è presente il vice sindaco di Ravenna Eugenio Fusignani, con Gianni Dalla Casa, presidente della Sezione ANVRG, i custodi del Capanno, Maurizio Mari al quale si deve un bel libro sull’archivio documentale e fotografico del Capanno stesso. Si ammira un bel mosaico raffigurante Garibaldi con il suo tradizionale sigaro, recentemente donato.
Nel suo calvario, la coppia trova accoglienza presso la fattoria dei Fratelli Ravaglia, la fattoria Guiccioli, dove si consuma il dramma della morte. Il 4 agosto si sale in raccoglimento alla stanza dove si spense Anita, con lo spoglio lettino ricostituito secondo i dettami della maggior parte dei quadri che ripropongono la scena. Si è introdotti alla stanza da una eccellente riproduzione di un quadro di G. Grasso che la rappresenta, dall’ANVRG prestato per molti mesi alla Fattoria, poi conservato in copia grazie al sostegno della Federazione delle Cooperative di Ravenna, presieduta da Lorenzo Cottignoli. Questo incute un’atmosfera di raccoglimento, di rispetto, suggerito anche dalla perfetta conservazione dell’antico edificio, l’austera nitidezza del “cortile” antistante, l’assenza di orpelli celebrativi alle pareti: uno stile che è quello imposto dallo stesso Cottignoli che si è preso la responsabilità di conservare un’anima a quelle stanze allora impreparate ad accogliere una tragedia: si poteva infrangere l’epopea garibaldina con la cattura di Garibaldi o invece ritrovare essa il suo slancio laddove la morte cruenta di uno dei suoi maggiori protagonista, una donna, Anita, consegna lo sposo affranto nelle mani di coloro che gli salveranno la vita aprendo il corso di una seconda fase dell’epopea italiana del Generale che anni dopo sarà vincente. Pochi eletti possono depositare, per le circostanze, un mazzo di fiori sul lettino con la sua banale coperta e non vi sono parole per l’immensità della sciagura che quella morte rappresenta per Garibaldi e per l’Italia.
Sono note le circostanze che portarono alla frettolosa sepoltura alla Landa della Pastorara. “Fu per Garibaldi, Anita, per l’Italia, la vivente immagine della libertà…” Questa scritta sul cippo evoca più di ogni altra la memoria di una donna che non solo oggi non è dimenticata ma che è più che mai viva, studiata, riconosciuta nel suo ruolo particolare nella storia delle donne, quella che onora figure fuori dagli schemi del femminismo e degli studi di genere ma non le può ignorare perché testimoniano del passaggio tra due epoche, due culture, e nel caso particolare di Ana Maria de Jesus, dell’incontro tra due mondi.
Ai piedi del cippo si riscopre una scritta su un marmo nascosto tra le erbe: “Vivi ed splendi, o bella o forte, o amorosa, leggenda garibaldina”. Sarebbe tale la leggenda senza Anita? Vi è da dubitarne.
Dieci anni dopo Garibaldi verrà a prendere la spoglie mortali dell’amata moglie, per portarle a Nizza, presso la tomba dove riposa la madre. Con questa scelta il Generale riuniva la memoria delle due donne da lui più di altre amate, la madre e la prima moglie.
Che poi la storia abbia voluto Anita sepolta al Gianicolo è altro discorso. Alla Romagna garibaldina va reso l’omaggio della gratitudine perpetua per avere custodito nella sua terra lei e salvato lui grazie alla generosità del suo popolo i cui nomi noti sono pochi, gli ignoti tanti, in una rete, la trafila, che è tutta resistenza all’oppressione e lotta atavica per la libertà. (Annita Garibaldi Jallet)